giovedì 11 febbraio 2021

CAPITOLO VI

Oggi la Padrona è rimasta in casa, dilettandosi tra telefonate con le amiche, internet, facebook, senza dover pensare a nulla perché il suo servo sguattero si occupa di ogni cosa. Ho lavato i vetri di tutta la casa, passato l’aspirapolvere, lavato il pavimento della cucina, rifatto il suo letto, igienizzato il bagno, preparato il pranzo. Per Lei non sono praticamente esistito, solo una volta, a metà mattinata mi ha chiamato perché le portassi un caffè, poi non mi ha degnato di uno sguardo. Verso le 16 mi ha ordinato di pulirle gli stivali e l’ho fatto con vera, autentica adorazione per le sue calzature. Ho capito che non cenerà a casa e infatti nel tardo pomeriggio ha iniziato a prepararsi, senza chiedere il mio aiuto. Si è mossa tra bagno cucina e la sua camera e io ho potuto solo ammirarla con la coda dell’occhio.
E’ così bella Lady Martina, non è più giovane, ma è una donna splendida, altera, superba, imponente. Adoro la sua presenza orgogliosa, il suo profumo, la sua presenza magnetica che emana superiorità assoluta. Servirla è un onore enorme ma anche un vero piacere, perché il solo pensiero che sono ammesso alla sua presenza mi esalta.
Ho finito i miei compiti e attendo eventuali ordini nell’angolo dell’ingresso, prostrato con la fronte ben adesa al pavimento. Non mi ha detto di prepararmi nulla per cena, temo mi attenderà un ennesimo digiuno che comunque non potrà farmi che bene, visto che sono in sovrappeso e in queste settimane la dieta cui mi ha sottoposto mi ha fatto già perdere qualche chilo.
La sento in bagno, dove resta con la porta aperta, come se io non ci fossi e in effetti cosa sono? Un servo, uno sguattero totalmente ignorato, trascurato come un oggetto. La sento liberarsi la vescica senza tirare poi l’acqua, certamente toccherà a me pulire alla perfezione mentre lei sarà fuori con qualche amica, ma il mio pensiero è interrotto da un suo comando imperioso: ”Vacca…vieni qui!”.
Mi muovo a 4 zampe come un cane sino a raggiungerla, accanto alla tazza del WC dove mi attende. Non faccio in tempo a tornare a poggiare il viso a terra che Lady Martina me lo solleva brutalmente strattonandomi per i capelli e obbligandomi ad incrociare il suo sguardo spietato. Mi ride in faccia facendomi tremare poi mi sogghigna:” Io esco, non vorrei tu zoccola ti annoiassi qui da sola e così ho pensato a qualcosa anche per te… sono buona vero?”. Così dicendo, sempre tenendomi per i capelli, mi guida con la testa sopra la tazza e ve la infila dentro abbassando subito dopo il coperchio sulla nuca. 



Ridendo mi prende i polsi, li fa passare dietro il basamento di ceramica e li blocca legandoli insieme con una specie di fascetta fermacavi in plastica numerata. E’ molto attenta alla sicurezza e questo mi da la massima fiducia in lei. Se sono solo in casa o se non è vicina a me non usa le manette da cui non potrei liberarmi ma queste strisce che potrei rompere facilmente in caso di bisogno. E’ chiaro che se lo facessi senza un vero reale motivo la punizione sarebbe terribile, ma so che se accadesse qualcosa o non mi sentissi bene potrei slegarmi in un attimo.
Così bloccato la sento muoversi ancora per casa, poi, dopo qualche minuto, tutte le luci vengono spente e l’ultimo rumore che mi arriva è quello della porta di casa che Lady Martina chiude dietro di se uscendo. E sono solo.
Solo, al buio, legato ad una tazza del WC, con la testa infilata all’interno a sfiorare la sua urina mescolata all’acqua sul fondo. E’ accaduto tutto così in fretta e solo adesso mi rendo conto dell’incubo che sto vivendo. Non vedo nulla, immerso nella totale oscurità e nel silenzio che mi opprimono. E’ una umiliazione che mi sconvolge; penso ai miei amici, ai miei colleghi, ai miei figli, a cosa direbbero nel vedermi vivere questa degradazione. Il tempo trascorre ma non posso averne una misura in quel nulla che mi avvolge, scandito solo dal dolore alle ginocchia e alla schiena che inizia a farsi sentire dopo questo immobilismo scomodo cui sono costretto. Cerco sollievo spostando il peso ora su una gamba ora sull’altra, mentre anche il mio olfatto sembra essersi atrofizzato e non avverto quasi più l’acre odore ammoniacale che mi nauseava all’inizio. Non me ne accorgo nemmeno ma inizio a piangere. Tutto questo è troppo, troppo. Perché non sono in un cinema, o in un ristorante con gli amici o a casa a gustarmi una birra e una serie TV? Perché accetto tutto questo? Perché mi sono ridotto in questo stato? Cosa c’è di sbagliato nella mia mente che mi porta a distruggermi così? Domande che mi pulsano senza sosta in testa e mi portano mille volte a pensare di liberarmi e di dire basta ad un qualcosa di inumano a cui mi sono autocondannato. Poi lentamente scivolo quasi una sorta di limbo, una incoscienza da cui mi scuote, dopo un tempo indefinito un rumore.
E’ l’uscio di casa che si apre, è il suono dei passi della Padrona che rientra e torna ad animare l’alloggio, accendendo qualche luce e muovendosi tra le stanze ma senza entrare dove sono prigioniero. Non voglio pensare che abbia intenzione di lasciarmi qui tutta la notte ed è una paura che mi accompagna per diversi minuti in cui ancora una volta non esisto. Solo dopo momenti che mi paiono un secolo sento aprirsi la porta del bagno e i suoi passi avvicinarsi a me.
Mi libera con uno strattone i polsi, solleva il coperchio e mi prende per i capelli per alzarmi il viso. Mi sento frastornato, sconvolto da ciò che mi ha fatto provare e il mio sguardo spento e apatico non può che confermarglielo. Ma lei risponde al mio sconcerto con una risata cattiva e mostrandomi un sacchetto che tiene stretto in mano. “Povera serva sciatta, hai trascorso una piacevole serata?” mi deride “Avrai fame, ma la Padrona ha pensato anche a te, non sono gentile?”. Con queste parole fa dondolare la bustina che ha in mano davanti ai miei occhi e poi la rovescia dentro la tazza del WC. 



Ne escono una decina di bordi smangiati della pizza che certo ha gustato con le sue amiche.
Osservo quasi incredulo quella sbobba stomachevole sul fondo, ma non oso nemmeno alzare lo sguardo mentre la sua voce tagliente mi sprona:”Su scrofa, buon appetito…”. Allungo una mano e prendo un primo pezzo di quell’impasto che una volta faceva parte di una succulenta pizza e ora gronda acqua e orina e, trattenendo un rigurgito, lo porto alla bocca e inizio a masticarlo e ad inghiottirlo. Ripeto quel gesto disgustoso ancora e ancora, mentre Lady Martina mi apostrofa duramente “Su, su…vuoi mica farmi star qui tutta la notte?”.
In dieci minuti la mia cena è consumata come completamente consunto è il mio animo, prostrato totalmente da quella sordida vergogna che mi fa scoppiare il cuore. “Sparisci ora troia…” sono le parole del suo saluto, accompagnato da un calcio violento sui glutei che mi sbatte quasi lungo disteso a terra. Mi rialzo a fatica in ginocchio, mi volgo un attimo verso di lei per un ultimo inchino e poi quasi scappo verso la mia camera dove mi addormento piangendo. Per la prima volta questa sera mi avvinghia la paura di non farcela.


lunedì 1 febbraio 2021

 

CAPITOLO V

La mia vita di servo e schiavo di Lady Martina Kobra scorre serena, per quanto possa esserlo la vita di un sottomesso, scandita solo da percosse, sberle, degradazioni di ogni genere. Oggi ho pranzato con i soliti avanzi su cui ha sputato abbondantemente e sto ripulendo la cucina quando sento il suono del campanellino che mi richiama.
Accorro ma non faccio a tempo a prostrarmi ai suoi piedi che ridendo lei mi ferma: “Oggi si scopa vacca” mi dice con un ghigno e so cosa mi aspetta. Mi sposto accanto al tavolo, sollevo la mia minigonna di pizzo, mi piego a 90°, allargo le gambe, poggio il busto al tavolo e attendo. Non mi piace essere violato dietro, è una cosa che ho sempre odiato ma a lei non posso dire no… e poi come potrei? Non esiste una safeword, è stato chiaro sin dall’inizio il diktat impostomi. Se volevo servirla avrei dovuto accettare tutto e l’unica cosa che avrei potuto dire è “Basta, vado via!” che non avrebbe interrotto quanto stava accadendo ma avrebbe concluso definitivamente la mia esperienza, significando che non ero pronto e adatto per appartenerle. E questo non sarebbe mai accaduto… MAI. Lo avevo giurato a me stesso.



La sento arrivare dietro di me, mi sfila il dildo che porto sempre, schiaffeggia i miei glutei un paio di volte, poi con le mani li allarga, appoggia la punta dello strapon che indossa al mio ano e spinge con forza. Non è un gesto gentile ma un colpo secco che mi strappa un gemito, La sento dentro di me e mi mordo il labbro per non strillare. Poi inizia il suo movimento… fuori… dentro… fuori…dentro, accompagnando ogni spinta con frasi volgari e spregevoli.
Io stringo i denti, cercando di rilassare lo sfintere per sentire meno male mentre lacrime copiose rigano il mio viso. La Padrona mi sta scopando con rabbia, con forza, pensando solo, con quel gesto, a ribadire il suo potere, la sua totale egemonia nei miei confronti.


Tutto questo mi devasta psicologicamente e fisicamente, mentre in lei crea eccitazione che ad un certo punto si manifesta compiutamente. Sfila lo strapon dal mio ano, se lo slaccia dai fianchi e va a sedersi comoda in poltrona, urlandomi un “Vieni qui, zoccola” che mi fa sollevare dal tavolo e arrivare sino a lei per inginocchiarmi ai suoi piedi.
Mi prende per i capelli costringendomi ad alzare il viso, poi mi sputa in faccia con un disprezzo che sento reale. Dal tavolino a fianco prende una maschera e me la cala a forza sul viso. E’ una sorta di guaina in latex con solo due fori per il naso e la bocca, mentre non c’è alcun taglio per poter vedere e il nero più assoluto cala sui miei occhi. E’ una sensazione strana, spiacevole, claustrofobica. Di lì a poco sento Lady Martina spingermi in bocca una specie di dildo che viene subito fissato con una cinghia dietro la mia nuca. Mi afferra bruscamente per i capelli e tira la mia testa tra le sue gambe. Intuisco che sta indirizzando la parte esterna dello strap verso il suo sesso; lo intuisco perché ne sento il profumo pur se non me ne è permessa la visione. A quel punto inizia a guidarmi, sempre strattonandomi per i capelli, in un lento movimento avanti e indietro della mia testa. Conseguentemente lo strap fissato alla mia gag entra ed esce dalla suo prezioso sesso e questo la eccita; avverto il suo respiro aumentare di intensità e diventare più rapido. Anche il ritmo con cui mi guida a darle piacere accelera. Io assecondo il movimento impostomi dalla sua forte mano muovendo la testa sempre più velocemente. Il suo ansimare cresce mentre anche il mio respiro si fa affannoso per la fatica e la difficoltà con cui l’aria entra dai piccoli fori praticati sulla maschera.
Il tutto dura forse dieci minuti, poi improvvisamente sento un mugolio più forte, le sue coscie si serrano con forza intrappolando la mia testa e il suo bacino sussulta nell’acme del piacere. Geme a lungo tirandomi con forza i capelli, poi si abbandona sulla poltrona rilassata.
Ora tutto è immobile, cristallizzato. Io fermo tra le sue gambe, con la testa spiaccicata contro le sue parti intime, lo strap facciale ancora infilato nel suo sesso. Respiro l’afrore del suo piacere e sono felice per aver fatto godere la mia Padrona. Una nullità come me a cui è stato concesso l’ambito onore di regalare un orgasmo ad una divinità superiore. E restiamo così, inerti, come figure di vita quotidiana in un quadro di Rubens.
Poi questa sorta di incantesimo si spezza. Lei piega una gamba sino ad appoggiarmi un tallone del piede sulla fronte e spinge prima delicatamente, sino a quando lo strap esce dalla sua vagina, poi con forza, un’autentica pedata che mi fa ruzzolare indietro. “Raccogli tutto zoccola” mi apostrofa con la solita durezza “pulisci e sparisci da qui.





Mi slaccio la gag e sfilo la maschera di cuoio che mi fasciava il capo. Torno a vedere la luce ma non oso guardare in direzione di Lady Martina. Raccolgo lo strapon con cui mi ha violentato e la mia crestina da serva finita a terra; prendo il dildo rimasto sul tavolo e me lo infilo umilmente nell’ano, poi mi allontano a testa bassa, salutando sull’uscio della stanza la mia proprietaria con una ridicola riverenza che nemmeno vede.
Sono stato brutalmente abusato, umiliato, usato come un oggetto sessuale e chiunque sarebbe turbato da una esperienza simile, proverebbe imbarazzo e disagio per il livello di abiezione cui è stato portato. Ma io non ci riesco. Lo so, è assurdo, irragionevole, folle, ma sto bene, mi sento bene, stanco e provato ma sereno e felice. La mia vita ha un senso, sono ciò che volevo da sempre essere, un servo, uno schiavo, uno sguattero che si nutre di vergogna e patimenti. E oggi lo sono diventato e non mi interessa cosa possa passare nella mente del popolo benpensante. Non voglio più tornare indietro.
Sono questi i miei pensieri mentre lavo e risciacquo tutti gli oggetti che mi hanno dominato tanto profondamente e nel farlo mi rendo conto di sorridere, completamente perso nella mia lucida follia. Grazie Lady Martina Kobra.





 

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