Scrivo qualche pensiero che mi è passato per la testa
all'inizio di questo periodo di isolamento dovuto all'emergenza sanitaria.
A fine febbraio stavo riflettendo su come organizzarmi per essere presente
il 20 marzo a Torino per il compleanno della mia Padrona Martina. Non è facile
per me muovermi, perché abito a Milano e ho dei vincoli dal punto di vista
famigliare.
Siccome mi avevano confermato in quei giorni una visita medica per il 16
marzo, ho pensato che non ce l'avrei fatta per il 20. A parte qualunque cosa
che sarebbe potuta scaturire dalla visita medica (e qualche sospetto non mi
faceva sentire tranquillo) stava montando la questione emergenza con
l'avvertenza di evitare spostamenti e di mantenere le cosiddette "distanze
sociali".
Decisi di avvertire la Signora che non me la sentivo di recarmi a Torino e
lo feci via FB. La Signora mi chiese di chiamarLa, cosa che feci immediatamente
e intrattenemmo una lunga conversazione. Esposi le mie preoccupazioni
circa la mia salute e Lei molto carinamente espresse parole di sostegno che mi
confortarono parecchio. Concordammo che ci saremmo riaggiornati a seconda delle
restrizioni che stavano per essere introdotte di lì a poco.
In un certo senso
pensai che fosse un segno del destino che mi suggeriva di allentare quel
rapporto di dominazione/sottomissione che intrattenevo con la mia Padrona
oramai da tanti anni. Da una parte pensavo che anche per la mia non più giovane
età prima o poi avrei dovuto prendere atto che quella specie di
"gioco" non era più sostenibile (un gioco che era diventato molto
reale quando ci incontravamo). Dall'altra, le incertezze sulla mia salute, oltre
che a indurmi in uno stato non tanto di depressione, ma di profondo sconforto,
mi inducevano a riesaminare la mia situazione.
Dopo averLe
manifestato al telefono il mio stato d'animo e ascoltato, come ho detto prima,
le Sue parole di incoraggiamento, della qual cosa Le ero grato, chiusi la
conversazione pensando di non cercarLa più.
Per una ventina
di giorni riuscì a non accedere più a FB e a non pensarci più. Sapevo che più
in là ci saremmo riparlati, ma contavo di far passare un po' di tempo, quando
cioè avrei potuto sentirmi meno soggiogato dalla Signora. Insomma, pensavo che
forse, lasciando passare un po' di tempo, ci si sarebbe potuti relazionare in
un modo diverso dai ruoli Padrona/schiavo.
Soffrivo, non lo
nego. Più volte ero tentato lì per lì di aprire FB e salutarLa. Ma mi
trattenevo anche se mi costava. Mi dicevo che si trattava per me di una prova
di forza di volontà e che non avrei dovuto lasciarmi vincere dal desiderio di
risentirLa. Mi dicevo che se magari la Signora mi avesse contattato Lei, Le
avrei detto quale erano le mie intenzioni.
Mi illudevo.
Un giorno, ricevo
un messaggio di auguri di Pasqua. Rispondo educatamente ricambiando gli auguri.
Confesso che vedere quel Suo messaggio sul mio cellulare mi fa temere di non
riuscire a tenere fede alle mie determinazioni, ma allo stesso tempo provo un
immenso piacere nel leggere il Suo nome tra i messaggi ricevuti. Mi dico che
aver risposto al messaggio non è un segno di debolezza. È un atto più che
dovuto, soprattutto in virtù dei tanti anni da quando ci si conosce.
L'altro giorno
ricevo un altro messaggio in cui mi chiede come va. Rispondo senza dilungarmi.
Dentro di me non so più se voglio o non voglio ricevere altri messaggi. Di lì a
poco vedo un messaggio che mi dice: "chiama".
Ci siamo. È il
momento della verità. Mi dico, saprò rimanere fermo nelle mie posizioni. Le
dirò che è il momento di prenderci una pausa di riflessione nel nostro
rapporto.
La chiamo. Tanti
squilli. Non risponde. Penso che ci proverò più tardi. Ma poi quasi per
abitudine, ma probabilmente più per il desiderio comunque di sentire la Sua
voce, clicco il tasto di richiamata dell'ultimo numero. Di nuovo il telefono
squilla una e più volte. Dentro della mia testa si scontrano due pensieri:
"e va be', non risponde"; ma anche "e dai, rispondi". Sto
per mettere giù, e sento che il telefono lascia di squillare. È Lei. Mi
impappino. Accenno ad un cortese saluto di buongiorno e biascico: "mi ha
detto di chiamarLa".
Mi rendo conto
che non sono capace di resistere. La Sua voce mi penetra nell'udito e le Sue
parole si fanno largo nel mio cervello. So che dovrei dire qualcosa, che dovrei
rivelarLe le mie intenzioni, ma non ci riesco. È troppo il piacere di sentire
la Sua voce e man mano che parliamo mi rendo conto che tutta la mia forza di
volontà è andata a farsi benedire. Sono di nuovo lì ad ascoltarLa, vorrei
essere davanti a Lei, baciarLe i piedi, ricevere i Suoi schiaffi, la Sua
frusta. Mi rendo conto che il rapporto Padrona/schiavo non si è scalfito di un
millimetro. Lei mi parla con le parole che una vera Padrona sa usare. Io
annuisco e confermo il mio desiderio di sottomissione, come schiavo, anche se
Lei mi aveva a Suo tempo degradato nella Sua personale gerarchia degli schiavi,
a sottoschiavo. Mi ripete che il mio ruolo è quello di sottoschiavo e io
confermo di esserne consapevole. So cosa significa.
Tempo addietro mi
aveva degradato a sottoschiavo, perché mi aveva trovato non all'altezza degli
altri Suoi schiavi. Mi aveva chiesto se avessi capito e se accettassi quel
mio ruolo o altrimenti non avrei potuto più essere un Suo sottomesso. Avevo
accettato e Lei mi aveva fatto capire anche il significato di tutto ciò: come
sottoschiavo dovevo accettare il postulato, che non ammetteva eccezioni, che è
la Padrona che decide quali sono i limiti del sottoschiavo, contrariamente a
quello che succede con uno schiavo, che può indicare i suoi limiti e la Padrona
li rispetta. In quanto inferiore ai Suoi schiavi, dovevo accettare, se
Lei lo voleva, di essere sottomesso ad altri schiavi (switch o no). Per di più
mi aveva fatto capire che poteva cedermi a chi voleva (e in effetti una volta
mi aveva consegnato ad una Sua amica e Le aveva detto di farmi quello che
voleva).
Più volte mi
aveva ripetuto: "tu fai quello che voglio io". Da parte mia, cercando
timidamente la Sua pietà, tentavo qualche volta di obiettare che non gradivo o
che non volevo questo o quello, Lei ribatteva: "di quello che tu
vuoi o non gradisci, non me ne fotte un cazzo, hai capito" E poi
aggiungeva "tu sei una lurida cagna e devi fare quello che voglio
io".
Tutte questi
pensieri mi tornavano in mente mentre io, al telefono, avevo ormai rinunciato a
qualunque resistenza, e Lei che aveva intuito quello che mi passava per la
mente, godeva di questo Suo potere, sapendo per di più come io stavo soffrendo.
È vero, soffrivo. Ma allo stesso tempo desideravo ardentemente la Sua
dominazione. E per stringere ancora di più il collare intorno al mio collo, mi
diceva: "la tua mente mi appartiene, il tuo cazzo mi appartiene, la tua
bocca, la tua lingua, tutto mi appartiene". Mi aveva di nuovo sconfitto,
distrutto, stracciato.
Sapevo che ancora
una volta, al prossimo incontro avrebbe avuto il potere assoluto su di me. La
cosa per me era molto preoccupante soprattutto da quando un paio di mesi prima
mi aveva annunciato che aveva un compagno (forse anche questo aveva influito
nel mio desiderio di allontanarmi gradualmente). Io ero rimasto un po'
perplesso. Lei l'aveva capito e aveva aggiunto, per acuire il mio disagio, che
un giorno mi avrebbe convocato per una cena e avrei dovuto servire Lei e il Suo
compagno e magari anche altre amiche o amici. Il mio desiderio è sempre stato
legato al Femdom, alla dominazione da una Donna. Ovviamente ho sempre saputo
che se la Padrona vuole, seppure con il consenso dello schiavo, può far
sottomettere lo schiavo al proprio compagno. Nel mio caso però, in quanto
sottoschiavo, la Padrona dispone di potere assoluto e quindi non ha alcun
bisogno del mio consenso. Prima non aveva un compagno e tutto sommato ero
rilassato. Ora però ce l'ha e io so che non posso farci niente. Che poi cosa
significhi servire anche il compagno della Padrona non è chiarissimo, ma ho
letto certe cose che è meglio non pensarci. Davvero preferirei che la Padrona
avesse unA compagnA, che potrei servire in tutti i modi senza disagio,
piuttosto che un compagnO.
Ho sentito il
bisogno di scrivere queste poche righe come forma di comunicazione con la mia
Padrona. Ho voluto aprire la mia mente e la mia anima come riconoscimento della
Sua superiorità. Probabilmente la mia Padrona sa già cosa passa per la mia
mente. So che Lei ci gode di sapere che qualunque cosa io pensi Le basta uno
schiocchiar di dita per vedermi prostrato ai Suoi piedi. Conosce il Suo
potere su di me e ogni tanto allenta la catena
che è attaccata
al mio guinzaglio. Ma le basta un fischio o anche solo uno sguardo più severo e
io sono di nuovo in ginocchio per servirLa.
Dopo tanti anni
con Lei, so anche che se oppongo anche solo un po' di resistenza, mi spettano
punizioni severe e un'ulteriore discesa nella mia degradazione. E' così, che la
Padrona decise tempo addietro la mia degradazione a sottoschiavo. La Sua
fantasia è infinita nel riuscire a umiliarmi in forme sempre più degradanti.
Lei è consapevole del Suo potere e ciò La fa godere e La rende felice. Forse un
giorno, si è lasciata sfuggire, potrebbe promuovermi di nuovo a schiavo, ma
come Lei dice, me lo devo meritare