Lo
squillo del citofono echeggia due volte in casa e subito lascio tutto ciò che
sto facendo e corro accanto alla porta d’ingresso, mi prostro con la fronte
appoggiata al pavimento e attendo. Lady Martina Kobra vuole così; mi annuncia
il suo rientro e vuole trovarmi immobile in questa posizione.
E
io lo faccio così come sono. Completamente nudo fatta eccezione per la CB e il
plug anale che indosso da quando sono entrato al suo servizio, 8 giorni fa, e
per le scarpe con 6 cm di tacco, la minigonna di pizzo, le autoreggenti nere,
il reggiseno semitrasparente riempito con due bocce di silicone e la ridicola
crestina che ho in testa. E le polsiere, le cavigliere ed il collare di pelle
che urlano al mondo il mio ruolo di schiavo.
Dopo
pochi secondi l’uscio di casa si apre e Lei entra lasciando cadere le borse
della spesa a terra; toccherà poi a me sistemarle. Si libera del soprabito che
fa cadere anch’esso sul pavimento e avvicina un piede al mio viso. Indossa lo
stivale nero che le ho calzato un paio d’ore prima e su cui depongo servili
baci mentre con l’altro piede inizia a schiacciarmi la testa. Sono certo sia
compiaciuta di questa assoluta e simbolica immagine di dominazione, poi mi
scalcia via.
Appena
la sento allontanarsi mi rialzo per appendere il soprabito e spostare la spesa
in cucina ma subito odo un tintinnio che mi richiama. E’ quello di un
campanellino dorato con il cui suono Lady Martina mi convoca a se. Sentendo
quel segnale abbandono ogni attività e corro da Lei, che è seduta comodamente nel salotto in fondo
al corridoio, e io zampetto sui miei scomodi tacchi, fermandomi a metÃ
corridoio per ossequiare le sue scarpe che ha posto su un piedistallo. Già , un
paio di sue decolleté usate è poggiato su un basamento in legno a metà del
passaggio. Ogni volta che vi passo davanti ho l’obbligo di fermarmi, girarmi
verso di loro, inchinarmi e depositarvi un bacio per ricordarmi sempre come io
valga meno delle sue calzature.
Quando
entro nella stanza faccio la riverenza come insegnatomi, tenendo la minigonna
dai bordi laterali con le mani, mettendo un piede dinnanzi all’altro e flettendo
le ginocchia. Ma non faccio a tempo di presentarmi che il suo duro “Le pantofole… troia!” mi obbliga a
ripetere il gesto per poi allontanarmi verso la scarpiera posta vicino
all’ingresso. Di nuovo l’inchino e il bacio alle sue scarpe , poi prendo le
ciabattine col tacco della Padrona e di nuovo l’inchino e il bacio, il ritorno
nel salotto, la riverenza… ormai la mia
vita scorre così. Un automa condizionato a ripetere sempre gli stessi gesti.
Le
arrivo accanto e mi inginocchio ai suoi piedi. Con delicatezza abbasso la zip
di uno stivale e lo sfilo. Il suo piede leggermente umido di sudore appare ai
miei occhi e se seguissi il desiderio mi getterei a leccarlo e baciarlo con una
passione assoluta. Ma so che se mai provassi d avvicinarmi a quella reliquia
senza un ordine preciso Lady Martina mi toglierebbe la pelle a cinghiate. Mi
limito quindi a poggiare il suo piede sulla mia coscia per richiudere la zip
dello stivale e deporlo a terra dopo averlo baciato con rispetto.
Prendo
la pantofolina e gliela infilo con dolcezza, quindi ripeto la stessa operazione
con l’altro piede sempre totalmente ignorato da Lei che sta messaggiando o
navigando sul suo cellulare. Non dico una parola, parlare mi è stato
espressamente vietato sin dal primo giorno, ma so cosa fare. Raccolgo i suoi
stivali e torno ai miei compiti di serva sguattera riponendoli nella scarpiera.
Più tardi dovrò pulirli con cura visto che fuori ha piovuto e sono in parte
inzaccherati.
In
cucina riordino con cura la spesa, sempre attento a quanto sto preparandole per
pranzo, secondo le indicazioni che mi ha lasciato in un bigliettino sul tavolo
con tutte le incombenze da assolvere in quella giornata. E’ un lavoro duro,
stancante, che mi tiene occupato tutto il tempo perché i compiti sono sempre
tanti e Lady Martina è esigentissima sulla perfezione con cui devo obbedire ad
ogni ordine.
Apparecchio
il tavolo, ovviamente per una sola persona e spengo i fuochi controllando per
l’ultima volta che primo e secondo siano perfettamente cotti, un controllo che
devo fare a vista, dato che non mi è permesso mangiare o assaggiare alcunché.
Poi mi avvio ad avvisare la Padrona che il pranzo è pronto, cosa che faccio
solo con una riverenza sulla porta stante il divieto di proferire anche una
sola parola. La anticipo in cucina e aspetto il suo ingresso, le sposto la
sedia per aiutarla a prendere posto a tavola, quindi riempio i due bicchieri
per l’acqua e il vino e servo il primo piatto. Vengo totalmente ignorato, lei
ha acceso la televisione sta seguendo un notiziario, io mi limito a rabboccare
i bicchieri immobile in piedi a testa bassa.
Accanto al piatto ha una grossa ciotola per cani, il mio piatto. Con
noncuranza ci mette dentro gli ultimi cucchiai del risotto che le avevo
cucinato e lo stesso fa con qualche avanzo di sogliola e di pomodorini che le
ho preparato come secondo piatto e contorno. Io non muovo un muscolo, pronto a
scattare per qualche sua richiesta.
Dopo
qualche minuto prende un bicchiere d’acqua e si sciacqua a lungo la bocca per
poi risputare il tutto dentro la ciotola. Lo fa con una naturalezza che mi
umilia più del gesto stesso, Guardo il contenuto che è diventato una poltiglia
indistinguibile ma dentro di me so che non è ancora finita. Mi ordina un caffè
che le preparo rapidamente e lei sorseggia con calma, accendendosi poi una
sigaretta. Seguo i suoi gesti regali… la cenere con noncuranza scossa nella ciotola che alla fine diventa
ricettacolo anche del mozzicone che resta a galleggiare su quella melma
ributtante.
Lady
Martina attende la fine del notiziario, poi si alza, prende il mio umile
piatto, ci sputa ancora rumorosamente dentro mentre mi fa inginocchiare con un
“Giù vacca…”. Poi mi viene accanto,
aspetto me lo poggi davanti come ha fatto nei giorni scorsi; invece
improvvisamente lo rovescia sul pavimento lasciandolo poi cadere a terra.
Scoppia a ridere e mi regala un “Buon
appetito scrofa” prima di spostarsi sulla porta della cucina e guardarmi
iniziare a consumare il mio laido pasto.
Uno
spettacolo, quello di una parodia di un essere umano che lecca da terra i suoi
avanzi e i suoi sputi, che le viene a noia presto e la sento allontanarsi verso
il salotto. Io continuo il pranzo umiliato ma profondamente felice.