giovedì 30 luglio 2015

A CENA



Cena con una mia Amica Miss
 22 luglio 2015

Sono arrivato con un po’ di ritardo anche se ero partito con un certo anticipo, ma la tangenziale era intasata di brutto e così nonostante quel margine che mi ero preso sono riuscito a fare tardi. Sapevo che la Signora, la mia Padrona,  non sarebbe stata contenta anche perché dovendo io servire la cena a Lei e alla Sua amica, il mio ritardo diventava imbarazzante.

Appena entrato, un po’ sconcertato dal fatto che insieme alle due Signore, si trovava anche un uomo che non capivo che ruolo avesse, commisi il mio primo sbaglio, lieve magari, ma rivelatore del mio stato d’animo. Un po’ ,infatti,  per questa sorpresa, un po’ perché mi sentivo nervoso per l’ora tarda, mi scappò detto “buon giorno Signora” mentre chinandomi leggermente baciavo la mano della Signora.  “Buon giorno?”, chiese subito lei e io senza neanche pensarci accennai ad un leggero sorriso mentre mi correggevo subito: “Buona sera, mi scu..”. Non feci in tempo a finire la frase che mi sentì arrivare secco uno schiaffo sulla guancia. Non che io disdegnassi ricevere uno schiaffetto di tanto in tanto, ma così improvvisamente, mentre dovevo salutare l’atra Signora, mi sbilanciò psicologicamente e quasi come un automa sentì dentro di me un senso quasi di ribellione. Che diamine, pensavo, non ci siamo quasi salutati e mi schiaffeggia senza tanti complimenti. Volevo dirle “ehi, carina stai calmina…” ma saggiamente tacqui e abbassai lo sguardo.

In realtà mi rendevo conto che la Signora sapeva come far scattare in me quel senso di sottomissione che lei esigeva dai suoi schiavi. Lo schiaffo, in effetti, sembrava produrre in me la sensazione dell’avvio di un programma mentale che mi induceva a rendermi consapevole che da quel momento non potevo più essere padrone di me stesso. Da quel momento dovevo prendere atto che, volente o nolente, non avevo più voce in capitolo. Sarei stato in suo potere per il resto della serata. D’altronde era proprio ciò che io stesso desideravo, e infatti mi ero trovato del tutto d’accordo quando lei mi aveva posto come condizione irrinunciabile per potermi presentare al suo cospetto che, una volta dato il mio consenso ed entrato in casa, non avrei più potuto tirarmi indietro. Avrebbe deciso lei e soltanto lei come trattarmi nelle ore successive e, che mi piacesse o no, era del tutto indifferente per lei.

Salutai l’amica della Signora con un aria sottomessa dopo quello schiaffo ricevuto. Mi sentivo piuttosto imbarazzato proprio perché stavo salutando una signora che non avevo mai visto prima. La mia Signora guardava compiaciuta proprio appunto perché percepiva il mio imbarazzo, peraltro aumentato per la presenza del suo amico.  L’imbarazzo si attenuò leggermente quando vidi l’amico della signora allontanarsi, il che mi fece pensare che non avrei dovuto servirlo a tavola, come poi fu in effetti.

Senza indulgere in ulteriori convenevoli sentì l’ordine della Signora che mi diceva di muovermi ad apparecchiare la tavola perché avevano fame.  Non ci pensai due volte e in men che non si dica provvidi ad eseguire quell’ordine, che peraltro ritenevo poco impegnativo e quasi gratificante immaginando che quel mio servizio potesse consentire alle signore di accomodarsi a tavola  e finalmente godere di una cena servite dal loro servitore.  E, in cuor mio, immaginavo di soddisfare appieno le due signore.

Dovetti ricredermi per quanto riguardava il concetto “impegnativo”. Ritenevo di star facendo un buon lavoro, ma le signore sembravano avere un diverso concetto di “buon” servizio. Infatti venni richiamato in alcune occasioni per aver lasciato cadere una goccia sulla tovaglia mentre servivo il vino, oppure perché non mi ero accorto che l’amica della Signora si aspettava che le servissi il bis sul piatto dopo aver finito il primo assaggio. Tra un servizio e l’altro dovevo inginocchiarmi accanto alla Padrona, salvo dovermi rialzare subito per accorrere al servizio dell’amica.

Alla lamentela dell’amica sulla mia poco esaltante performance, sento la Padrona dire alla amica con aria serafica: ”puniscilo”. “Non mi permetterei, è il tuo schiavo” ribatte dolcemente l’amica.  ”Questa sera, puoi fare quello che vuoi con questa cagna. Puoi fargli quello che vuoi” controbatte la mia Padrona e guardandomi aggiunge “è una cagna…” si interrompe e guardandomi, si rivolge a me e con tono di scherno mi chiede “cosa sei tu?”. Io sono in ginocchio e per quanto consapevole del mio ruolo di schiavo, quel dialogo tra e due signore mi appare un tantino surreale. Non che mi cogliesse totalmente di sorpresa (la mia Padrona mi aveva già preannunciato che in compagnia di una sua amica avrebbe potuto darle la sua autorizzazione di usarmi o punirmi), ma sentirlo dal vero mi suonava comunque un po’ destabilizzante.  Per di più sentirmi chiamare cagna dalla Padrona davanti alla sua amica mi suscitava disagio. In ogni caso i miei pensieri  o il mio disagio contavano poco, perché la Padrona si aspettava  una risposta alla sua domanda: “cosa sei tu?” Sapevo di non poter sfuggire la domanda e con aria un po’ sorridente (più che altro per nascondere l’imbarazzo per la risposta che stavo per pronunciare, rispondo, “una cagna, Signora”. “E poi, cosa sei?” aggiunge sadicamente sapendo che in questo modo sta affondando il coltello nelle carni della mia umiliazione. Già una volta mi aveva fatto rispondere davanti ad altre sue amiche a questa risposta e immagino che, anche questa volta voglia sentire la risposta che quasi sottovoce pronuncio: “il suo schiavo Signora, sono la sua troia, Signora”. Lei incalza con aria più minacciosa ancora: “ cosa ti dico che sei tu?” “Un sottoschiavo, Signora”. Capisco che era la risposta che attendeva. La mia Padrona scoppia in una grassa risata e soddisfatta insiste con sottile crudeltà:  “e cosa significa?”  (ben sapendo quanto umiliante io consideri quel termine e soprattutto quel ruolo se mai dovessi trovarmi a viverlo nella realtà).  Non ho via di fuga. Lei si aspetta la mia risposta come ulteriore affondo nella mia umiliazione. So di doverlo dire e infatti vergognandomi dentro di me rispondo a bassa voce: “che devo sottomettermi anche agli altri schiavi se lei me lo ordina”.  La Padrona appare soddisfatta della risposta e guarda la sua amica come per dire ecco dove conduco i miei schiavi.

Da parte mia non voglio neanche immaginare che mi tocchi di dovermi sottomettere ad altri schiavi. La mia sottomissione alla Padrona è sicuramente voluta da me. Mi piace la sua dominazione e quell’aria di compiacimento che vedo nel suo viso quando mi sottomette. Ma come non mi stanco mai di dirle, quando la Padrona mi permette di esprimermi liberamente, non amo, non gradisco quasi nessuna di quelle pratiche che le padrone fanno subire ai loro schiavi, quasi per provare il loro grado di potere sullo schiavo e il grado di sottomissione di quest’ultimo verso la padrona. A dire il vero gradisco lo schiaffetto, la frustatina, possibilmente leggerina, l’umiliazioncina e così via. Ma mi fermo lì.  Per il resto sono desideroso soltanto di sentire la sua dominazione verso di me e la mia sottomissione verso di lei.

La mia Padrona sa però che per potermi prostrare davanti a lei il mio concetto di sottomissione deve estendersi all’accettazione del suo potere assoluto, e questo implica che non posso sottrarmi una volta dinanzi a lei a qualunque punizione e umiliazione che lei voglia impartirmi. Per di più conosce il mio intimo e sa che quanto più mi umilia, tanto più cresce in me quel senso di sottomissione che mi impedisce di ribellarmi anche quando, in piena contraddizione con me stesso, vorrei ribellarmi davvero.

Durante la cena vengo schiaffeggiato più e più volte dalla mia Padrona e poi dall’amica, che rassicurata dal permesso di fare con me quello che vuole, non ha più mancato, durante tutta la cena e anche nel dopo cena,  di farmi capire la mia inferiorità anche nei suoi confronti. L’amica, anzi, appare anche più perversa quando, finita la cena e dopo che la Padrona mi ha definito sadicamente “una troia succhia cazzi”, mi fa prendere in bocca un giocattolo fatto a forma di pene e insieme alla mia Padrona si diverte a commentare la mia performance. Mi sento proprio ridicolo e umiliato da quello che mi sta accadendo, ma non soddisfatte della mia tecnica di succhia cazzi , le due signore mi fanno interrompere per applicarmi del rossetto alle labbra e poi farmi ricominciare a succhiare e leccare il loro giocattolo. “Dobbiamo essere sicure che non ci farai fare un brutta figura” dicono ridendo “quando dovrai succhiare un cazzo vero”. E ancora commenti e suggerimenti di come muovere la lingua e come inghiottire quel finto pene.

Finalmente si stufano del giochino e mi portano nella stanza dove ci sono alcuni attrezzi. In questo momento so che succederà quello che la Padrona mi aveva anticipato più volte. “Le pagherai tutte le tue mancanze, vedrai le pagherai”. Me l’aveva ripetuto alcune volte, ma io non ci avevo dato peso più di tanto. In questo momento però capisco che se punizioni devo ricevere, non saranno come piacerebbero  a me, cioè leggerine, leggerine. Una frustatina qua, uno schiaffettino là, un pizzicottino al capezzolo ma soltanto quel tanto che basta e niente di più.

No, so che questa volta la Signora si vuole togliere la soddisfazione di farmi pagare la mia mancanza principale e cioè quella di essere poco disponibile, seppure giustificato per ragioni di lavoro e perché si vive in città diverse. Questa volta lei mi ha avvinghiato come fa un boa con la sua preda, e sa di potersi concedere le soddisfazioni che vuole su di me. Io per contro incomincio a sudare freddo (e anche caldo vista la stagione) ma decido che sono lì e che devo tenere fede al mio impegno di non tirarmi indietro fintanto che la Padrona non avrà deciso la fine della sessione a cui mi sono sottoposto di mia volontà.

La due signore sembrano divertirsi vedendomi contorcere ad ogni frustata, per fortuna sul sedere, che per giorni e giorni mi lasceranno segni profondi, e di tanto in tanto mi colpisce nel punto più delicato per un uomo irridendomi “tanto a che ti servono queste, non ti serve a niente quello che hai lì”. Io cercando di suscitare la sua benevolenza esclamo “ a niente, non mi servono a niente” .  L’amica, intanto, con un attrezzino fatto a rotelline appuntite si diverte a provocarmi un solletico insopportabile e se provo a muovermi, cosa che faccio continuamente a dire il vero, affonda le punte delle rotelline provocandomi un forte dolore che mi spinge a rimettermi al mio posto seppure ancora per poco perché le frustate e talvolta le sculacciate della Padrona diventano così forti che incomincio a supplicare pietà. La Padrona per tutta risposta mi sussurra : “lo sai che la parola pietà non esiste nel mio vocabolario”. So di non potermi sottrarre a questa punizione che la Padrona ritiene fondamentale per la mia educazione, ma lo stesso io continuo comunque a supplicare pietà e sopraffatto dal dolore mi sposto dal cavalletto dove mi avevano fatto sdraiare pancia in giù e buttandomi a terra mi metto a baciare i piedi delle due signore, prima una e poi l’altra e ancora e ancora. Loro ridono e mi dicono di rialzarmi in piedi e quando sono davanti a loro la Padrona mi prende un capezzolo e incomincia a stringere mentre l’amica inizia ripassarmi l’altro capezzolo con la rotellina. Questa volta non è più solletico, ma dolore vero. Vorrei piangere. La signore ridono della mia incapacità di resistere al dolore e io per cercare una tregua incomincio a dire alla Padrona che sì, sono una cagna, che sono una troia, che sono la sua troia e che mi usi come vuole. Sono totalmente vinto, umiliato e dolorante. Finalmente interrompono il gioco e mi chiedono se voglio bere. Dico di no, che non ho sete. La mia Padrona senza proferir parola mi fa inginocchiare e per sottolineare il suo potere su di me (come se ce ne fosse bisogno) mi fa aprire la bocca e subito sento il suo sputo scendere sulla mia lingua. Soddisfatta, la mia Padrona e l’amica mi dicono di rivestirmi.

Immagino che i loro commenti non siano molto lusinghieri sulla mia capacità di sopportazione del dolore.  So, perché me lo aveva fatto capire la Padrona in passato, che gi schiavi con cui si diverte di più, perché riescono a soddisfare maggiormente le sue pulsioni più sadiche sono quelli che hanno una soglia del dolore elevata, e per questo li considera superiori a quelli che lei definisce sottoschiavi. Mi aveva infatti definito sottoschiavo anche per questo e purtroppo so che ha ragione e che perciò il suo divertimento con me passa soprattutto attraverso la mia umiliazione. So che prima o poi mi toccherà vivere nella realtà il ruolo di sottoschiavo e che la Padrona lo porterà all’estremo usandomi come sua puttana e come troia succhia cazzi. So anche che per quanto non desideri vivere né l’una né ‘altra esperienza, il mio desiderio, e direi anche il mio bisogno, di sottomissione mi porteranno ancora a prostrarmi davanti alla Padrona e in quell’occasione sarà Lei a decidere cosa fare di me. Una volta rivestito, mi presento davanti a loro e mi concedono di andare. Bacio le loro mani ed esco.

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