Cena con una mia Amica Miss
22 luglio 2015
22 luglio 2015
Sono arrivato con un po’ di ritardo anche se ero partito con un certo
anticipo, ma la tangenziale era intasata di brutto e così nonostante quel
margine che mi ero preso sono riuscito a fare tardi. Sapevo che la Signora, la
mia Padrona, non sarebbe stata contenta
anche perché dovendo io servire la cena a Lei e alla Sua amica, il mio ritardo
diventava imbarazzante.
Appena entrato, un po’ sconcertato dal fatto che insieme alle due
Signore, si trovava anche un uomo che non capivo che ruolo avesse, commisi il
mio primo sbaglio, lieve magari, ma rivelatore del mio stato d’animo. Un po’
,infatti, per questa sorpresa, un po’
perché mi sentivo nervoso per l’ora tarda, mi scappò detto “buon giorno
Signora” mentre chinandomi leggermente baciavo la mano della Signora. “Buon giorno?”, chiese subito lei e io senza
neanche pensarci accennai ad un leggero sorriso mentre mi correggevo subito:
“Buona sera, mi scu..”. Non feci in tempo a finire la frase che mi sentì
arrivare secco uno schiaffo sulla guancia. Non che io disdegnassi ricevere uno
schiaffetto di tanto in tanto, ma così improvvisamente, mentre dovevo salutare
l’atra Signora, mi sbilanciò psicologicamente e quasi come un automa sentì
dentro di me un senso quasi di ribellione. Che diamine, pensavo, non ci siamo
quasi salutati e mi schiaffeggia senza tanti complimenti. Volevo dirle “ehi,
carina stai calmina…” ma saggiamente tacqui e abbassai lo sguardo.
In realtà mi rendevo conto che la Signora sapeva come far scattare in
me quel senso di sottomissione che lei esigeva dai suoi schiavi. Lo schiaffo,
in effetti, sembrava produrre in me la sensazione dell’avvio di un programma
mentale che mi induceva a rendermi consapevole che da quel momento non potevo
più essere padrone di me stesso. Da quel momento dovevo prendere atto che,
volente o nolente, non avevo più voce in capitolo. Sarei stato in suo potere
per il resto della serata. D’altronde era proprio ciò che io stesso desideravo,
e infatti mi ero trovato del tutto d’accordo quando lei mi aveva posto come
condizione irrinunciabile per potermi presentare al suo cospetto che, una volta
dato il mio consenso ed entrato in casa, non avrei più potuto tirarmi indietro.
Avrebbe deciso lei e soltanto lei come trattarmi nelle ore successive e, che mi
piacesse o no, era del tutto indifferente per lei.
Salutai l’amica della Signora con un aria sottomessa dopo quello
schiaffo ricevuto. Mi sentivo piuttosto imbarazzato proprio perché stavo
salutando una signora che non avevo mai visto prima. La mia Signora guardava compiaciuta
proprio appunto perché percepiva il mio imbarazzo, peraltro aumentato per la
presenza del suo amico. L’imbarazzo si
attenuò leggermente quando vidi l’amico della signora allontanarsi, il che mi
fece pensare che non avrei dovuto servirlo a tavola, come poi fu in effetti.
Senza indulgere in ulteriori convenevoli sentì l’ordine della Signora
che mi diceva di muovermi ad apparecchiare la tavola perché avevano fame. Non ci pensai due volte e in men che non si
dica provvidi ad eseguire quell’ordine, che peraltro ritenevo poco impegnativo
e quasi gratificante immaginando che quel mio servizio potesse consentire alle
signore di accomodarsi a tavola e
finalmente godere di una cena servite dal loro servitore. E, in cuor mio, immaginavo di soddisfare appieno
le due signore.
Dovetti ricredermi per quanto riguardava il concetto “impegnativo”.
Ritenevo di star facendo un buon lavoro, ma le signore sembravano avere un
diverso concetto di “buon” servizio. Infatti venni richiamato in alcune
occasioni per aver lasciato cadere una goccia sulla tovaglia mentre servivo il
vino, oppure perché non mi ero accorto che l’amica della Signora si aspettava
che le servissi il bis sul piatto dopo aver finito il primo assaggio. Tra un
servizio e l’altro dovevo inginocchiarmi accanto alla Padrona, salvo dovermi
rialzare subito per accorrere al servizio dell’amica.
Alla lamentela dell’amica sulla mia poco esaltante performance, sento la
Padrona dire alla amica con aria serafica: ”puniscilo”. “Non mi permetterei, è
il tuo schiavo” ribatte dolcemente l’amica.
”Questa sera, puoi fare quello che vuoi con questa cagna. Puoi fargli
quello che vuoi” controbatte la mia Padrona e guardandomi aggiunge “è una
cagna…” si interrompe e guardandomi, si rivolge a me e con tono di scherno mi
chiede “cosa sei tu?”. Io sono in ginocchio e per quanto consapevole del mio
ruolo di schiavo, quel dialogo tra e due signore mi appare un tantino surreale.
Non che mi cogliesse totalmente di sorpresa (la mia Padrona mi aveva già
preannunciato che in compagnia di una sua amica avrebbe potuto darle la sua
autorizzazione di usarmi o punirmi), ma sentirlo dal vero mi suonava comunque
un po’ destabilizzante. Per di più sentirmi
chiamare cagna dalla Padrona davanti alla sua amica mi suscitava disagio. In
ogni caso i miei pensieri o il mio
disagio contavano poco, perché la Padrona si aspettava una risposta alla sua domanda: “cosa sei tu?”
Sapevo di non poter sfuggire la domanda e con aria un po’ sorridente (più che
altro per nascondere l’imbarazzo per la risposta che stavo per pronunciare,
rispondo, “una cagna, Signora”. “E poi, cosa sei?” aggiunge sadicamente sapendo
che in questo modo sta affondando il coltello nelle carni della mia umiliazione.
Già una volta mi aveva fatto rispondere davanti ad altre sue amiche a questa
risposta e immagino che, anche questa volta voglia sentire la risposta che
quasi sottovoce pronuncio: “il suo schiavo Signora, sono la sua troia,
Signora”. Lei incalza con aria più minacciosa ancora: “ cosa ti dico che sei tu?”
“Un sottoschiavo, Signora”. Capisco che era la risposta che attendeva. La mia
Padrona scoppia in una grassa risata e soddisfatta insiste con sottile
crudeltà: “e cosa significa?” (ben sapendo quanto umiliante io consideri
quel termine e soprattutto quel ruolo se mai dovessi trovarmi a viverlo nella
realtà). Non ho via di fuga. Lei si
aspetta la mia risposta come ulteriore affondo nella mia umiliazione. So di
doverlo dire e infatti vergognandomi dentro di me rispondo a bassa voce: “che
devo sottomettermi anche agli altri schiavi se lei me lo ordina”. La Padrona appare soddisfatta della risposta e
guarda la sua amica come per dire ecco dove conduco i miei schiavi.
Da parte mia non voglio neanche immaginare che mi tocchi di dovermi
sottomettere ad altri schiavi. La mia sottomissione alla Padrona è sicuramente
voluta da me. Mi piace la sua dominazione e quell’aria di compiacimento che
vedo nel suo viso quando mi sottomette. Ma come non mi stanco mai di dirle,
quando la Padrona mi permette di esprimermi liberamente, non amo, non gradisco
quasi nessuna di quelle pratiche che le padrone fanno subire ai loro schiavi,
quasi per provare il loro grado di potere sullo schiavo e il grado di
sottomissione di quest’ultimo verso la padrona. A dire il vero gradisco lo
schiaffetto, la frustatina, possibilmente leggerina, l’umiliazioncina e così
via. Ma mi fermo lì. Per il resto sono
desideroso soltanto di sentire la sua dominazione verso di me e la mia
sottomissione verso di lei.
La mia Padrona sa però che per potermi prostrare davanti a lei il mio
concetto di sottomissione deve estendersi all’accettazione del suo potere
assoluto, e questo implica che non posso sottrarmi una volta dinanzi a lei a
qualunque punizione e umiliazione che lei voglia impartirmi. Per di più conosce
il mio intimo e sa che quanto più mi umilia, tanto più cresce in me quel senso
di sottomissione che mi impedisce di ribellarmi anche quando, in piena
contraddizione con me stesso, vorrei ribellarmi davvero.
Durante la cena vengo schiaffeggiato più e più volte dalla mia Padrona
e poi dall’amica, che rassicurata dal permesso di fare con me quello che vuole,
non ha più mancato, durante tutta la cena e anche nel dopo cena, di farmi capire la mia inferiorità anche nei
suoi confronti. L’amica, anzi, appare anche più perversa quando, finita la cena
e dopo che la Padrona mi ha definito sadicamente “una troia succhia cazzi”, mi
fa prendere in bocca un giocattolo fatto a forma di pene e insieme alla mia
Padrona si diverte a commentare la mia performance. Mi sento proprio ridicolo e
umiliato da quello che mi sta accadendo, ma non soddisfatte della mia tecnica
di succhia cazzi , le due signore mi fanno interrompere per applicarmi del
rossetto alle labbra e poi farmi ricominciare a succhiare e leccare il loro
giocattolo. “Dobbiamo essere sicure che non ci farai fare un brutta figura”
dicono ridendo “quando dovrai succhiare un cazzo vero”. E ancora commenti e
suggerimenti di come muovere la lingua e come inghiottire quel finto pene.
Finalmente si stufano del giochino e mi portano nella stanza dove ci
sono alcuni attrezzi. In questo momento so che succederà quello che la Padrona
mi aveva anticipato più volte. “Le pagherai tutte le tue mancanze, vedrai le
pagherai”. Me l’aveva ripetuto alcune volte, ma io non ci avevo dato peso più
di tanto. In questo momento però capisco che se punizioni devo ricevere, non
saranno come piacerebbero a me, cioè
leggerine, leggerine. Una frustatina qua, uno schiaffettino là, un pizzicottino
al capezzolo ma soltanto quel tanto che basta e niente di più.
No, so che questa volta la Signora si vuole togliere la soddisfazione
di farmi pagare la mia mancanza principale e cioè quella di essere poco
disponibile, seppure giustificato per ragioni di lavoro e perché si vive in
città diverse. Questa volta lei mi ha avvinghiato come fa un boa con la sua
preda, e sa di potersi concedere le soddisfazioni che vuole su di me. Io per
contro incomincio a sudare freddo (e anche caldo vista la stagione) ma decido
che sono lì e che devo tenere fede al mio impegno di non tirarmi indietro
fintanto che la Padrona non avrà deciso la fine della sessione a cui mi sono
sottoposto di mia volontà.
La due signore sembrano divertirsi vedendomi contorcere ad ogni
frustata, per fortuna sul sedere, che per giorni e giorni mi lasceranno segni
profondi, e di tanto in tanto mi colpisce nel punto più delicato per un uomo
irridendomi “tanto a che ti servono queste, non ti serve a niente quello che
hai lì”. Io cercando di suscitare la sua benevolenza esclamo “ a niente, non mi
servono a niente” . L’amica, intanto,
con un attrezzino fatto a rotelline appuntite si diverte a provocarmi un
solletico insopportabile e se provo a muovermi, cosa che faccio continuamente a
dire il vero, affonda le punte delle rotelline provocandomi un forte dolore che
mi spinge a rimettermi al mio posto seppure ancora per poco perché le frustate
e talvolta le sculacciate della Padrona diventano così forti che incomincio a
supplicare pietà. La Padrona per tutta risposta mi sussurra : “lo sai che la
parola pietà non esiste nel mio vocabolario”. So di non potermi sottrarre a
questa punizione che la Padrona ritiene fondamentale per la mia educazione, ma
lo stesso io continuo comunque a supplicare pietà e sopraffatto dal dolore mi
sposto dal cavalletto dove mi avevano fatto sdraiare pancia in giù e buttandomi
a terra mi metto a baciare i piedi delle due signore, prima una e poi l’altra e
ancora e ancora. Loro ridono e mi dicono di rialzarmi in piedi e quando sono
davanti a loro la Padrona mi prende un capezzolo e incomincia a stringere mentre
l’amica inizia ripassarmi l’altro capezzolo con la rotellina. Questa volta non
è più solletico, ma dolore vero. Vorrei piangere. La signore ridono della mia
incapacità di resistere al dolore e io per cercare una tregua incomincio a dire
alla Padrona che sì, sono una cagna, che sono una troia, che sono la sua troia
e che mi usi come vuole. Sono totalmente vinto, umiliato e dolorante.
Finalmente interrompono il gioco e mi chiedono se voglio bere. Dico di no, che
non ho sete. La mia Padrona senza proferir parola mi fa inginocchiare e per
sottolineare il suo potere su di me (come se ce ne fosse bisogno) mi fa aprire
la bocca e subito sento il suo sputo scendere sulla mia lingua. Soddisfatta, la
mia Padrona e l’amica mi dicono di rivestirmi.
Immagino che i loro commenti non siano molto lusinghieri sulla mia
capacità di sopportazione del dolore.
So, perché me lo aveva fatto capire la Padrona in passato, che gi
schiavi con cui si diverte di più, perché riescono a soddisfare maggiormente le
sue pulsioni più sadiche sono quelli che hanno una soglia del dolore elevata, e
per questo li considera superiori a quelli che lei definisce sottoschiavi. Mi
aveva infatti definito sottoschiavo anche per questo e purtroppo so che ha
ragione e che perciò il suo divertimento con me passa soprattutto attraverso la
mia umiliazione. So che prima o poi mi toccherà vivere nella realtà il ruolo di
sottoschiavo e che la Padrona lo porterà all’estremo usandomi come sua puttana
e come troia succhia cazzi. So anche che per quanto non desideri vivere né
l’una né ‘altra esperienza, il mio desiderio, e direi anche il mio bisogno, di
sottomissione mi porteranno ancora a prostrarmi davanti alla Padrona e in
quell’occasione sarà Lei a decidere cosa fare di me. Una volta rivestito, mi
presento davanti a loro e mi concedono di andare. Bacio le loro mani ed esco.